Questi prima del Natale sono senza dubbio i giorni più magici dell’anno: l’atmosfera si riempie di attesa ed il clima freddo tipico della fine di dicembre è riscaldato da un calore diffuso, che pervade tutto.
Le vie risplendono di illuminazioni, le canzoni di Michael Bublé suonano alla radio, le case e i negozi sono pieni di decorazioni. I bambini scrivono la “letterina” a Babbo Natale e i passanti – incrociandosi per strada tra una commissione e l’altra – si fanno gli auguri.
Gli amici si scambiano i regali ed in famiglia ci si riunisce per pensare al menù di Natale: ogni anno si cerca qualcosa di diverso, “per cambiare”, ma alla fine si ricade sempre sui piatti della tradizione, quelli che sanno di casa e non deludono mai.
Sì, perché il Natale qui in Toscana significa tradizione e famiglia. Tavola imbandita, la nonna col grembiule, l’odore del “sugo”. Briscola, scopa e tombola, chiacchiere e sorrisi. Significa foto di generazioni a confronto che rimarranno per sempre nell’album dei ricordi.
Il Natale ai tempi dei nostri nonni
E lo spirito con cui i nostri nonni trascorrevano questa festa non era poi così diverso. Certo, erano molto più poveri, ma per Natale non esitavano a mettere in tavola i piatti più buoni, il meglio del meglio: anche la carne, che riservavano alle occasioni importanti.
Il cappone in umido, per esempio, era una di quelle ricette che non potevano mai mancare il 25 dicembre. Con un unico pollo, uno di quelli allevati nell’aia, le massaie preparavano – oltre al secondo – anche il primo: un brodo davvero saporito in cui cuocevano i tortellini.
Per il dessert invece tappa fissa era la drogheria in paese (i tavarnellini conosceranno senz’altro la famosa “Maria di Barinco”). Lì si compravano panforte e cavallucci, dolci tipici di Siena fatti con frutta candita, noci e spezie come cannella, anice e chiodi di garofano.
Passata qualche ora tra cibo genuino, filastrocche e novelle, i nostri nonni ritornavano in chiesa (dopo la Messa della mattina) per ascoltare le poesie che i bambini recitavano davanti al presepe, tutte dedicate – ovviamente – alla celebrazione religiosa.
Il ceppo
Una particolarità del Natale ai tempi dei nostri nonni era senza dubbio il ceppo: un grosso pezzo di legno (in genere quello alla base dell’albero) che, scelto mesi prima e fatto asciugare bene, alla vigilia veniva messo ad ardere nel camino davanti alla famiglia riunita.
Lo si lasciava bruciare fino a Santo Stefano o, addirittura, fino a Capodanno o all’Epifania. Affinché le fiamme lo consumassero lentamente, venivano utilizzati alcuni stratagemmi: il tronco veniva unto con il grasso di maiale o ricoperto di cenere.
Elemento di straordinaria importanza per i contadini, il fuoco nel periodo di Natale assumeva un valore sacrale: serviva simbolicamente a riscaldare il piccolo Gesù. Ed infatti spesso veniva chiamato il prete a benedire il ceppo.
Poi, alla fine delle feste, capitava che le ceneri lasciate dal ceppo arso venissero raccolte e sparse nei campi: era un modo per propiziare un buon raccolto, uno dei tanti momenti (come San Martino e Santa Lucia) in cui le festività cristiane si legavano alla tradizione contadina.
L’evoluzione del termine “ceppo”
E’ proprio dall’abitudine di bruciare il ciocco nel camino che nella nostra zona “ceppo” è passato ad indicare la vigilia, il Natale ed in generale i giorni di festa. Ai chiantigiani sarà capitato sicuramente di sentire la nonna, mentre mette in tavola di tutto e di più, dire che “oggi è ceppo”, cioè appunto “oggi è festa”.
Inoltre a questa nuova entità che veniva ad abitare la casa – il tronco – si collegava l’usanza di portare regali ai bambini: “pensierini” umili, come dolci, frutta, giocattoli in legno, bambole di pezza. “E’ passato il ceppo?” è la classica domanda che il nonno ci faceva vedendoci con in mano pacchi e buste. Il ceppo era, insomma, una sorta di Babbo Natale ante litteram.
Invece in altre aree della Toscana il termine aveva (ed ha tuttora) l’accezione di “dono natalizio”. Questo significato affonda l’origine nell’abitudine del fidanzato di fare a Natale un regalo alla sua amata, che lei ricambiava per l’Epifania (perché… “chi non inceppa non imbefana”). Oppure, forse, nella “mancia” che il padrone a fine anno dava al contadino.
Il Natale oggi a Poggio al Bosco
Oggi, purtroppo, si è persa l’abitudine di ardere il ceppo nel fuoco. Però qui a Poggio al Bosco il giorno di Natale, come tutti gli altri giorni d’inverno, il fuoco non mancherà ed illuminerà la vecchia stalla, dove prima stavano i vitelli e dove adesso ci riuniamo intorno alla tavola.
Ci gusteremo i piatti della tradizione, accompagnati dal nostro vino delle occasioni speciali: lo Spaziale, Sangiovese in purezza, anche lui simbolo della nostra terra. E ci godremo la compagnia dei nostri cari.
Buon Natale a tutti voi!