Saperi contadini – La storia del Vin Santo

Scritto da Elena Boschini

Gennaio 25, 2021

Cos’è il Vin Santo?

Tra i vini passiti più conosciuti e consumati in Italia, il Vin Santo occupa decisamente una posizione di rilievo. Particolarmente ricco di profumi e di diverse sfumature di gusto, esso è prodotto in varie zone della nostra penisola (dall’Umbria, all’Emilia Romagna, fino ad arrivare in alcune zone del veronese), ma resta sicuramente una specialità della Toscana, dove viene realizzato da secoli e dove esistono innumerevoli varianti, legate soprattutto alla zona di raccolta dell’uva. Tra queste ricordiamo il classico Vin Santo del Chianti, il Vin Santo del Chianti Colli Aretini, il Vin Santo del Chianti Colli Fiorentini, il Vin Santo del Chianti Colli Senesi, il Vin Santo del Chianti Montalbano, il Vin Santo del Chianti Montespertoli, il Vin Santo del Chianti Colline Pisane e il Vin Santo del Chianti Rufina.
Generalmente questo vino dolce è frutto di due diverse tipologie di uva che unendosi danno vita ad un connubio particolarmente azzeccato: parliamo del Trebbiano toscano e della Malvasia lunga del Chianti, entrambi vitigni tipici del territorio toscano, che conferiscono, rispettivamente, acidità e struttura al prodotto finale. Molto apprezzata è anche la variante detta Vin Santo Occhio di Pernice, che segue la stessa metodologia di produzione della versione classica, ma nasce dall’incontro di uve a bacca nera, quali Sangiovese, Malvasia Nera e Canaiolo.

 

Come si fa

Il processo di lavorazione del Vin Santo è piuttosto particolare e si distingue, in quanto vino passito, dal classico metodo di produzione dei vini bianchi e rossi. Dopo un’accurata cernita effettuata manualmente che consente di individuare i grappoli migliori, le uve vengono portate in una stanza ben ventilata (il cosiddetto appassitoio) e sistemate su graticce di canne oppure in cassette di plastica accatastate l’una sopra l’altra, dove cominciano la fase di appassimento. Questo periodo non ha una durata standard ma dipende molto dal tipo di vino che si vuole produrre e, in particolare, dalla dolcezza che si vuole donare alla bevanda finale: infatti più passa il tempo e più l’acqua contenuta negli acini tende ad evaporare, aumentando la concentrazione zuccherina al loro interno. Al termine di questa fase, i grappoli vengono poi diraspati e spremuti e il mosto ottenuto viene messo a vinificare ed invecchiare (obbligatoriamente) in piccoli recipienti di legno, i caratelli, di capacità non superiore ai 5 ettolitri. Il periodo di invecchiamento si può determinare concluso il 1° ottobre del terzo anno successivo a quello di raccolta delle uve, quando dovrà aver raggiunto un titolo alcolometrico volumico totale minimo del 15,5%.

 

La curiosa storia dietro al suo nome

Molto curiosa e quasi leggendaria è la storia di questo vino e della nascita del suo nome. Sappiamo per certo che il Vin Santo ha alle sue spalle una storia molto lunga e, almeno in Toscana, esso appartiene alla memoria collettiva che evoca una civiltà contadina ormai scomparsa, caratterizzata dalla figura del mezzadro e della famiglia colonica. Le prime citazioni risalgono addirittura agli inizi del Cristianesimo (I secolo d.c), a voler forse indicare un tipo di vino particolarmente adatto al rito della messa.
Secondo una leggenda senese, nel 1348, anno in cui si diffuse la peste, un frate domenicano distribuiva vino agli ammalati per portare loro un po’ di sollievo: da qui la convinzione che si trattasse di un vino miracoloso e, pertanto, santo. Un’altra interpretazione riconduce la nascita del nome al 1439, anno del Concilio Ecumenico indetto a Firenze da Papa Eugenio IV. In un convivio fu servito un vino passito che al cardinal Bessarione fece esclamare: “ma questo è xantos!”, per la somiglianza che questo aveva con il vino prodotto nell’isola di Xanto, che fu così trasformato dai presenti nell’aggettivo latino santus. Altri ancora, poi, fanno risalire l’etimologia della parola al ciclo produttivo del Vin Santo, legato ai periodi delle festività religiose più importanti del calendario liturgico cristiano.

 

Abbinamenti da provare

Essendo un vino dall’odore e soprattutto dal sapore dolce, che richiamano note di uva passa, fico secco, noce e miele, ma anche di mele cotogne in confettura, datteri, mandorle e canditi, il Vin Santo viene spesso proposto al termine di un pasto, come vino da dessert, in compagnia di cantucci pratesi (che non vi andrebbero MAI inzuppati, come insegnano vignaioli e critici, perché inzuppare il biscotto nel vino altera in qualche modo il vino stesso, alterando quei profumi e quei sapori per i quali i produttori hanno lavorato anni), ricciarelli senesi o da una fetta di crostata di albicocche. Quello che spesso non viene detto, però, è che il Vin Santo è ottimo da gustare anche insieme a pietanze salate: particolarmente consigliato è l’abbinamento con crostini ai fegatini (un’altra tipica ricetta della tradizione toscana) mentre, nel caso di una tipologia di vino piuttosto secca, si suggerisce di degustarlo anche insieme a formaggi stagionati e in particolare erborinati. Per assaporarne a pieno il gusto, come tutti i passiti, andrebbe sorseggiato nei classici calici di piccola dimensione a una temperatura di servizio che varia tra gli 8 e i 12°C.

 

Il Vin Santo di Poggio al Bosco

A Poggio al Bosco abbiamo particolarmente a cuore la realizzazione del Vin Santo proprio perché, come scritto in precedenza, questo vino ha il sapore della tradizione e dell’autenticità contadina e continuare a produrlo ci fa sentire orgogliosi più che mai di portare avanti la storia di famiglia. Per questo motivo ormai da anni realizziamo il Vin Santo del Chianti seguendo le stesse procedure e gli stessi segreti che ci hanno insegnato i nostri nonni, pur rispettando il disciplinare moderno.
Le uve che utilizziamo sono esclusivamente bianche (Malvasia e Trebbiano), che una volta raccolte seguono la loro fase di lavorazione particolare. Raduniamo i grappoli in cassette di plastica e li lasciamo appassire per mesi in una stanza appositamente dedicata; terminato questo periodo procediamo con la pigiatura e lasciamo il mosto a fermentare in caratelli di legno (di ciliegio o di rovere, per esempio) per un periodo di tempo variabile di volta in volta (comunque sempre superiore ai tre anni come richiede il disciplinare): l’ultima produzione, ad esempio, ha richiesto un tempo di invecchiamento di sei anni. I caratelli vengono chiusi ermeticamente in modo tale che, durante la fermentazione, si crei all’interno una pressione elevata e sistemati in una parte alta della stanza così che il mosto possa esser soggetto di forti escursioni termiche che rendono il processo di fermentazione stesso lento e particolare. Il risultato è un vino dolce dal colore ambrato che sprigiona un intenso profumo di frutta secca e di gusto risulta armonico e vellutato.

Virginia Bagni

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ultima modifica: 2021-01-25T16:46:47+01:00 Particolarmente ricco di profumi e di diverse sfumature di gusto, il Vin Santo è prodotto in varie zone della nostra penisola ma resta sicuramente una specialità della Toscana da Elena Boschini

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